3 luglio 2016

La Fuga di Cristian




"Mannaggia all'amore e a chi l'ha inventato", pensó Cristian mentre correva con tutto il fiato che aveva in corpo. Non aveva resistito e, mentre i genitori sonnecchiavano di fronte alla televisione, era sgattaioilato fuori di casa per andare a trovare la sua bella Marina, che non vedeva da tanti, troppi giorni ormai, con l'incoscienza della gioventú a mettere a tacere la sua voce interiore che sapeva bene quali pericoli avrebbe dovuto correre.

Le cose non erano come erano sempre state in cittá, e quell'inspiegabile invasione di esseri mostruosi aveva giá mietuto piú vittime tra i suoi amici e conoscenti. Ma Cristian non era uno qualunque: conosceva a menadito ogni vicolo e ogni scorciatoia del suo quartiere, e sapeva come fare per tenersi lontano dal radar di quegli esseri infernali, che comunque tendevano a girare in gruppo nelle vie principali. Ed infatti il suo piano aveva avuto successo: mantenendosi nell'ombra nelle strade comunque a prima vista deserte, il nostro era arrivato sotto il balcone della sua amata, e ne aveva richiamato l'attenzione lanciando un ciottolo contro la finestra. Marina si era precipitata giú per le scale e aveva spalancato la porta urlandogli contro: "Ma tu sei un pazzo! Un incosciente! Lo sai che...", ma le sue labbra erano state bloccate da quelle di Cristian, che la rispinse dentro casa chiudendo la porta alle sue spalle, sentendosi libero e vittorioso, e dopo i primi baci leggero come una pioggerella di mezza estate.

"Mannaggia all'amore e a chi l'ha inventato", pensó Cristian di nuovo. Avere la testa nascosta in un nugolo di stelle non era una cosa che nessuno poteva permettersi, in quei giorni terribili. Una volta tornato per strada, il sorriso che tagliava per intero il suo volto mentre con meno circospezione ritrovava la via di casa era scomparso in un attimo all'udire un urlo belluino e sovrannaturale provenire dall'altro lato della strada. Un secondo dopo stava giá correndo a rotta di collo, e dopo un altro secondo c'erano tre esseri che lo inseguivano, annusando la sua paura, urlando contro il cielo, sbavando sull'asfalto.

Si giró a cogliere una fugace immagine dei suoi inseguitori. Tutti e tre erano vestiti di nero, ma attaccate a quei corpi di grossa stazza c'erano tre teste differenti, mostruose e deformi. Uno dei tre aveva orride fattezze da lupo antropomorfo, con un occhio completamente iniettato di sangue. Un secondo aveva il capo fasciato da bende insanguinate come una grottesca mummia, sotto le quali pulsava della carne viva. Ma l'inseguitore che incuteva più timore aveva un teschio al posto della testa, e quelle orbite fisse e vuote gli fecero tornare in mente quella frase sull'abisso che ti fissa quando tu fissi lui. Di chi era quella frase... di Schopenauer magari? O Jim Morrison? Si rese conto che il suo cervello stava formulando centinaia di pensieri, uniti in fili logici piú o meno labili, per mantenersi occupato e non cedere davanti al terrore e alla disperazione. E nemmeno uno di quei pensieri era dedicato a quello che lo stava mantenendo in vita: le sue gambe, care e preziose gambe, che si alternavano nel sospingerlo in avanti a piccoli balzi piú che di corsa. 

Tutto era iniziato pochi giorni fa. Nessuno sapeva esattamente da dove provenissero quei mostri, ma quello che era risultato chiaro fin da subito é che era impossibile contrapporsi a loro. Nessun gruppo inclusi polizia e carabinieri, armato o meno, riusciva a trovarli: quegli strani esseri sembravano sbucare dal nulla solo quando qualche incauto si avventurava per le strade deserte da solo, o con un amico, o con la fidanzata. E quello che succedeva a quei poveri malcapitati.. no, no, no. Non voleva pensarci, non poteva pensarci. Non poteva rischiare che la paura lo inchiodasse sul posto, dopotutto era un corridore piú che discreto anche se, ciononostante, non stava riuscendo ad aumentare il divario tra lui e quegli esseri mostruosi nemmeno di un centimetro. 

Una curva a sinistra, un balzo in un vicolo, cento metri di corsa estenuante in linea retta, le stava provando tutte, ma quei tre maledetti mostri non mollavano la preda. Sembrava a modo loro stessero ridendo, nutrendosi del terrore di quell'umano di fronte a loro, magari facendogli credere che avesse una qualche speranza di seminarli o depistarli. Cristian si stava infilando in una strada senza uscita, e con luciditá mantenne la calma calcolando che entrambe le traverse sulla destra e sulla sinistra gli sarebbero servite per continuare la sua fuga disperata. Quelle che dovevano essere risate si facevano peró sempre piú vicine accompagnate a suoni gutturali, e Cristian si giró di scatto per controllare dove fossero i suoi inseguitori, rabbrividendo. I tre si erano distanziati l'uno dall'altro, e mentre il teschio continuava a correre verso di lui, gli altri due avevano tagliato in diagonale rispettivamente sulla destra e sulla sinistra, accorciando la distanza che li separava dall'imboccatura delle due traverse dove avrebbero di fatto tagliato la strada a quello stupido umano. Quanto vantaggio avevano su di lui? Visto che stavano facendo una specie di ipotenusa mentre lui stava correndo sui cateti, poteva aiutarlo Pitagora? Ecco che il suo cervello aveva ricominciato ad andare a ruota libera per non soccombere alla disperazione: doveva recuperare luciditá e mantenere la calma. 

No, doveva lasciar perdere Pitagora che magari poi non c'entrava molto e fidarsi del suo istinto: non poteva andare né a destra né a sinistra, doveva correre dritto e sperare in qualche miracolo che gli avrebbe consentito di proseguire la sua fuga, senza tra l'altro avere in mente un obiettivo definito, e cosí fece. Sentiva il cuore battergli a mille e la carenza di ossigeno nei polmoni mentre un altro rapido sguardo gli confermó che il teschio era ormai ad una quindicina di metri da lui, mentre gli altri due si erano nuovamente diretti verso il centro della strada ed avevano perduto terreno: le loro urla provenivano forse da una distanza di venticinque metri. 

Poteva girarsi per affrontarne uno e pensare poi agli altri due? Assolutamente no, non aveva nessuna speranza nemmeno nell'uno contro uno. Continuó a correre finché ogni piede poggiato a terra inizió a pesare come un macigno, finché ogni ciclo di inspirazione ed espirazione somigliava ormai ad uno stantuffo, finché... finché intravide la strada chiusa di fronte a lui. 

Ma non era finita lí. D'improvviso vide quello che non si sarebbe mai aspettato a quell'ora cosí tarda: una porta aperta ed una luce accesa che denotavano un rifugio accessibile. Con le ultimissime energie, Cristian cambió leggermente direzione e si diresse a rotta di collo verso quel santuario. Il teschio intuí subito la destinazione della preda e provó ad arrivarci per primo. Provocare una prima ferita poteva venirgli utile, e fece un movimento ad arco con il braccio: un oggetto metallico non meglio identificato balenó nel buio e mancó Cristian di pochi centimetri, sibilandogli a lato.

Il teschio cominció a capire che quell'essere insignificante avrebbe potuto sfuggirgli, ed inizió per la prima volta a correre sotto sforzo, colmando rapidamente la distanza che lo separava dall'umano. Mise la mano dietro la schiena ed afferró quello che sembrava una catena di metallo nero senziente, che inizió a roteare nell'aria vorticosamente aggiungendo un altro suono agghiacciante a quella miscela di rapidi passi disperati, di grida sovrumane, di grugniti e suoni gutturali indecifrabili. 

Per almeno due volte Cristian riuscí ad abbassare la testa evitando che la catena si avviluppasse intorno al suo collo. Per almeno altre due volte riuscí a saltare evitando che la catena lo facesse inciampare e rovinare al suolo. E l'ultimo salto lo fece ad occhi chiusi in una nuvola d'oro che gli riempí il cuore, nell'amichevole porta aperta, fuori dal regno dell'ombra e dentro la sfera protettiva di quel santuario. 

Mentre affannosamente riprendeva fiato si giró e vide il teschio contorcersi in una smorfia spaventosa, che ben manifestava tutta la sua rabbia e la sua delusione. Gli altri due intanto erano sopraggiunti, e si fermarono ai due lati del teschio osservando Cristian con aria minacciosa, ma senza osare entrare nella luce d'oro di quel rifugio. 

Cristian attese di avere abbastanza fiato per parlare, dopodiché diede le spalle ai tre mostri e si avvicinó al bancone. Si frugó nelle tasche e trovó 10.000 lire, che gli sarebbero bastate per attendere in quel posto tutto il tempo necessario perché i suoi inseguitori se ne andassero. Con voce tremante disse:

"Un trancio di margherita ed una gassosa al caffé".

Mannaggia all'amore e a chi l'aveva inventato... e pure mannaggia al Carnevale di Lamezia Terme (Calabria) e a chi ci partecipava.