Ecco un piccolo aneddoto che ho inviato per l'iniziativa "150 anni del Liceo F. Fiorentino di Lamezia".
Correva l’anno 1996 o 1997, e noi frequentavamo la II B.
Non chiedetemi informazioni piú precise, accontentatevi che pure io sto
crescendo e la memoria non é piú quella di quando stavo tra i banchi.
Come ogni settimana ascoltavamo a tratti curiosi, a
tratti annoiati, a tratti incantati il professor Lagoteta che ci svelava i
dettagli di un'opera scritta tanto tempo fa in volgare, che se volete dare un
Nobel a Benigni io sono d’accordo, però il primo che ci ha fatto appassionare a
quell’ambiente fantastico, a quei personaggi e al suono di quella lingua è
stato lui. Durante la lezione il prof aggiungeva al tutto una certa aura di
sacralità con la sua caratteristica erre moscia, e in quel momento stava
dicendo più o meno così:
„E cosí Vivgilio che fa? Decide di intevvenive
vivolgendosi con tono…“. Il professore si interruppe. Se alla sua posa immobile
e ai suoi occhi sgranati si fosse aggiunta una coda maculata, rivolta all'insú
a fare capolino da dietro le sue spalle, l’immagine del leopardo che aspetta il
momento giusto per balzare sulla preda sarebbe stata completa. Ma il prof non
si stava affatto appostando né stava pregustando filetti di animali selvatici:
era semplicemente rimasto di stucco. Siccome nella stanza non c’erano
basilischi né Meduse (anche se nei miei ricordi c’erano molte arpie, l’etá che
“le femmine sono tutte cretine” non era del tutto alle spalle, almeno per noi
maschiacci), era facile capire che il prof fosse rimasto impietrito dalla
sorpresa di avere visto qualcosa di fuori dal normale.
L’arcano fu presto svelato dall’urlo: “LONGOOOOO!!”, che
improvviso fece sobbalzare tutti sulla sedia, contribuendo a rinforzare
l’atmosfera dantesca che giá si era ricreata in quel silenzio surreale degno
delle gesta narrate fino a quel momento. Se tutti erano scossi figuriamoci
Antonio, che era la causa sia dello sbigottimento del docente, sia del
sopraggiunto silenzio (che ricordava quello nostro quando conoscevi quella
ragazzina che ti piaceva e dopo due minuti non sapevi piú che dirle), sia della
quantitá anormale di decibel che aveva riempito l’aula fino all’ultimo banco,
dove stavolta mi dispiaceva di stare seduto con Raffaele e Lorenzo visto che
non avevamo una poltronissima sull’avvenimento.
Riavutosi dallo shock, il prof iniziava ad assumere
sfumature aragosta ed incalzava: “Longo, in 30 anni d’insegnamento non mi é mai
capitata una cosa simile! Dovmive duvante la lettuva della Divina Commedia!
Ma-ma-ma…ma io non lo so! E al pvimo banco poi…“
Ed effettivamente Antonio stava bel bello in prima linea,
praticamente a portata di copia di Repubblica arrotolata e/o di cucchiara di
legno dalla cattedra (di ambo le cose il prof era in quel momento per fortuna
sprovvisto), e aveva deciso bene di schiacciare un pisolino. Con la testa appoggiata
sulle braccia, riscaldato dal sole primaverile che entrava dalla finestra,
sembrava alquanto indifferente alla fatica disumana che Dante e Virgilio
stavano facendo in quel momento per scalare quella montagna nebbiosa, che altro
che le imprese di Messner. E poi, se vogliamo dirla tutta, Dante é molto piú
italiano di Messner che alla terza birra non riesce piú a parlare la nostra
lingua: all’inizio infatti volevano fargli fare la pubblicitá della Moretti,
poi sono stati costretti a ripiegare sull’acqua alpina, che comunque la
Calabria é meglio e ha il residuo fisso a 180° piú basso. Sto divagando, la
testa non é piú quella di una volta, ve l’ho detto...
La risposta arrivó pronta: “Prufhissú, scusati, ma iu
tiagnu u suli nta a fhacci, u termosifhoni allu cantu appizzatu, vua ca parrati…a
mia mi gira lla capu!“. Ed anche se a quel punto una risata generale contribuí
a sciogliere la tensione, sembrava che Antonio avesse peggiorato
considerevolmente la sua posizione, e “ma come gli viene in mente”, e “Antó
statti citu”… ma a quel punto mi resi conto di qualcosa. Il prof continuava sí
a brontolare che erano cose incredibili, e che come si poteva concepire una
cosa del genere, e che in 30 anni di insegnamento… ma si vedeva che sotto sotto
anche lui rideva sotto i baffi, e che si stava divertendo come tutti noi
ragazzi. E che la pur necessaria barriera tra noi e lui si era in quel momento
assottigliata.
In quegli anni eravamo ancora in
quell’etá in cui non ci si rende conto che il cammino guidato della scuola é
destinato ad interrompersi bruscamente. Che anche noi come Dante e Virgilio
salivamo su una collina giorno per giorno, anno dopo anno, per poi arrivare in
cima ed essere spinti giú da un burrone da qualcuno con le parole: “Adesso, mio
caro Cerra, arriva la vita vera, e questa sui libri non gliel’abbiamo spiegata.
Buona fortuna e spero che l’impatto non le fracassi del tutto le ossa. O
davvero considerava l’interrogazione il giorno dopo, la ragazzina che non le si
fila e il tamarro sul corso gli unici ostacoli tra lei e la felicità?
Muahahahah”.
Anche se, a rifletterci su, la visione
di questo oscuro nonché antipatico personaggio sghignazzante non é del tutto
vera: in effetti di questa famosa “materia” non v’era traccia né nell’orario
provvisorio né in quello definitivo, ma ogni giorno a scuola si cresceva in
altri modi. Si imparava ad essere uniti, come ci insegnava il prof. Gabriele, a
prendere decisioni insieme e insieme fare le piccole battaglie quotidiane. Ci
si sensibilizzava verso quello che ci succedeva intorno, e in questo ci dava un
grande aiuto la cara professoressa Riga. Si mettevano da parte ricordi che
inevitabilmente mettono il sorriso a distanza di anni. E i piccoli aneddoti di
ogni giorno, le azioni e le reazioni di compagni che diventavano amici, di
professori che temporaneamente assumevano il ruolo di nemici, hanno contribuito
a fare di tutti noi alunni quello che siamo oggi. Ed anche per questo ho voluto
raccontare questo mio piccolo ricordo, per restituire al liceo classico una
frazione di tutto quello che il liceo ha dato a me.
Adesso so di avere imparato una lezione
anche quel giorno, ma non saprei spiegarvi con precisione quale. Forse che
quando tutte le avversitá si accumulano é lecito alzare bandiera bianca e
prendersi un momento per recuperare il fiato. Oppure che dobbiamo sempre essere
noi stessi qualunque cosa pensino gli altri di noi. O che Morfeo esiste
addirittura da prima del sommo poeta. Oppure che quando sei nei guai, se
sorridi al tuo nemico, anche lui magari sorriderá a te. Ora, se il prof.
Lagoteta sta leggendo questa storiella, devo precisare a scanso di equivoci che
ho utilizzato il termine “nemico” perché, con tutto il bene che volevamo al
prof di cui conserviamo un ottimo ricordo, é inevitabile tra i banchi un certo
cameratismo tra gli alunni che vedono il corpo docente come un’armata delle
tenebre, che ha come unico scopo quella di limitare le libertá personali e il
tempo libero dell’individuo, metterne alla prova il sistema nervoso, e riuscire
a trovare durante le interrogazioni l’unica cosa che non ti eri studiato perché
cominciava la partita e allora chiudiamo ‘sto libro. Ma guarda un po’, sto
divagando ancora. Cosa dicevo? Ah, la lezione che ho imparato quel giorno…
dentro di me so qual é, ma non riesco a dare forma alle mie idee adesso.
Veramente ci rifletterei su un altro po’, ma fuori c’é un sole cosí bello. E
poi qualche sberto ha deciso di lasciare il temosifone appizzato…