22 febbraio 2013

Il Purgatorio

Ecco un piccolo aneddoto che ho inviato per l'iniziativa "150 anni del Liceo F. Fiorentino di Lamezia".

Correva l’anno 1996 o 1997, e noi frequentavamo la II B. Non chiedetemi informazioni piú precise, accontentatevi che pure io sto crescendo e la memoria non é piú quella di quando stavo tra i banchi.

Come ogni settimana ascoltavamo a tratti curiosi, a tratti annoiati, a tratti incantati il professor Lagoteta che ci svelava i dettagli di un'opera scritta tanto tempo fa in volgare, che se volete dare un Nobel a Benigni io sono d’accordo, però il primo che ci ha fatto appassionare a quell’ambiente fantastico, a quei personaggi e al suono di quella lingua è stato lui. Durante la lezione il prof aggiungeva al tutto una certa aura di sacralità con la sua caratteristica erre moscia, e in quel momento stava dicendo più o meno così:

„E cosí Vivgilio che fa? Decide di intevvenive vivolgendosi con tono…“. Il professore si interruppe. Se alla sua posa immobile e ai suoi occhi sgranati si fosse aggiunta una coda maculata, rivolta all'insú a fare capolino da dietro le sue spalle, l’immagine del leopardo che aspetta il momento giusto per balzare sulla preda sarebbe stata completa. Ma il prof non si stava affatto appostando né stava pregustando filetti di animali selvatici: era semplicemente rimasto di stucco. Siccome nella stanza non c’erano basilischi né Meduse (anche se nei miei ricordi c’erano molte arpie, l’etá che “le femmine sono tutte cretine” non era del tutto alle spalle, almeno per noi maschiacci), era facile capire che il prof fosse rimasto impietrito dalla sorpresa di avere visto qualcosa di fuori dal normale.

L’arcano fu presto svelato dall’urlo: “LONGOOOOO!!”, che improvviso fece sobbalzare tutti sulla sedia, contribuendo a rinforzare l’atmosfera dantesca che giá si era ricreata in quel silenzio surreale degno delle gesta narrate fino a quel momento. Se tutti erano scossi figuriamoci Antonio, che era la causa sia dello sbigottimento del docente, sia del sopraggiunto silenzio (che ricordava quello nostro quando conoscevi quella ragazzina che ti piaceva e dopo due minuti non sapevi piú che dirle), sia della quantitá anormale di decibel che aveva riempito l’aula fino all’ultimo banco, dove stavolta mi dispiaceva di stare seduto con Raffaele e Lorenzo visto che non avevamo una poltronissima sull’avvenimento.

Riavutosi dallo shock, il prof iniziava ad assumere sfumature aragosta ed incalzava: “Longo, in 30 anni d’insegnamento non mi é mai capitata una cosa simile! Dovmive duvante la lettuva della Divina Commedia! Ma-ma-ma…ma io non lo so! E al pvimo banco poi…“

Ed effettivamente Antonio stava bel bello in prima linea, praticamente a portata di copia di Repubblica arrotolata e/o di cucchiara di legno dalla cattedra (di ambo le cose il prof era in quel momento per fortuna sprovvisto), e aveva deciso bene di schiacciare un pisolino. Con la testa appoggiata sulle braccia, riscaldato dal sole primaverile che entrava dalla finestra, sembrava alquanto indifferente alla fatica disumana che Dante e Virgilio stavano facendo in quel momento per scalare quella montagna nebbiosa, che altro che le imprese di Messner. E poi, se vogliamo dirla tutta, Dante é molto piú italiano di Messner che alla terza birra non riesce piú a parlare la nostra lingua: all’inizio infatti volevano fargli fare la pubblicitá della Moretti, poi sono stati costretti a ripiegare sull’acqua alpina, che comunque la Calabria é meglio e ha il residuo fisso a 180° piú basso. Sto divagando, la testa non é piú quella di una volta, ve l’ho detto...

La risposta arrivó pronta: “Prufhissú, scusati, ma iu tiagnu u suli nta a fhacci, u termosifhoni allu cantu appizzatu, vua ca parratia mia mi gira lla capu!“. Ed anche se a quel punto una risata generale contribuí a sciogliere la tensione, sembrava che Antonio avesse peggiorato considerevolmente la sua posizione, e “ma come gli viene in mente”, e “Antó statti citu”… ma a quel punto mi resi conto di qualcosa. Il prof continuava sí a brontolare che erano cose incredibili, e che come si poteva concepire una cosa del genere, e che in 30 anni di insegnamento… ma si vedeva che sotto sotto anche lui rideva sotto i baffi, e che si stava divertendo come tutti noi ragazzi. E che la pur necessaria barriera tra noi e lui si era in quel momento assottigliata. 

In quegli anni eravamo ancora in quell’etá in cui non ci si rende conto che il cammino guidato della scuola é destinato ad interrompersi bruscamente. Che anche noi come Dante e Virgilio salivamo su una collina giorno per giorno, anno dopo anno, per poi arrivare in cima ed essere spinti giú da un burrone da qualcuno con le parole: “Adesso, mio caro Cerra, arriva la vita vera, e questa sui libri non gliel’abbiamo spiegata. Buona fortuna e spero che l’impatto non le fracassi del tutto le ossa. O davvero considerava l’interrogazione il giorno dopo, la ragazzina che non le si fila e il tamarro sul corso gli unici ostacoli tra lei e la felicità? Muahahahah”.

Anche se, a rifletterci su, la visione di questo oscuro nonché antipatico personaggio sghignazzante non é del tutto vera: in effetti di questa famosa “materia” non v’era traccia né nell’orario provvisorio né in quello definitivo, ma ogni giorno a scuola si cresceva in altri modi. Si imparava ad essere uniti, come ci insegnava il prof. Gabriele, a prendere decisioni insieme e insieme fare le piccole battaglie quotidiane. Ci si sensibilizzava verso quello che ci succedeva intorno, e in questo ci dava un grande aiuto la cara professoressa Riga. Si mettevano da parte ricordi che inevitabilmente mettono il sorriso a distanza di anni. E i piccoli aneddoti di ogni giorno, le azioni e le reazioni di compagni che diventavano amici, di professori che temporaneamente assumevano il ruolo di nemici, hanno contribuito a fare di tutti noi alunni quello che siamo oggi. Ed anche per questo ho voluto raccontare questo mio piccolo ricordo, per restituire al liceo classico una frazione di tutto quello che il liceo ha dato a me.  

Adesso so di avere imparato una lezione anche quel giorno, ma non saprei spiegarvi con precisione quale. Forse che quando tutte le avversitá si accumulano é lecito alzare bandiera bianca e prendersi un momento per recuperare il fiato. Oppure che dobbiamo sempre essere noi stessi qualunque cosa pensino gli altri di noi. O che Morfeo esiste addirittura da prima del sommo poeta. Oppure che quando sei nei guai, se sorridi al tuo nemico, anche lui magari sorriderá a te. Ora, se il prof. Lagoteta sta leggendo questa storiella, devo precisare a scanso di equivoci che ho utilizzato il termine “nemico” perché, con tutto il bene che volevamo al prof di cui conserviamo un ottimo ricordo, é inevitabile tra i banchi un certo cameratismo tra gli alunni che vedono il corpo docente come un’armata delle tenebre, che ha come unico scopo quella di limitare le libertá personali e il tempo libero dell’individuo, metterne alla prova il sistema nervoso, e riuscire a trovare durante le interrogazioni l’unica cosa che non ti eri studiato perché cominciava la partita e allora chiudiamo ‘sto libro. Ma guarda un po’, sto divagando ancora. Cosa dicevo? Ah, la lezione che ho imparato quel giorno… dentro di me so qual é, ma non riesco a dare forma alle mie idee adesso. Veramente ci rifletterei su un altro po’, ma fuori c’é un sole cosí bello. E poi qualche sberto ha deciso di lasciare il temosifone appizzato…  

3 commenti:

  1. MI hai commosso!!! E' fantastico!!!

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  2. Grandioso! Si limitasse a commentare chi ha vissuto questi momenti in prima persona. Grazie, Sbiru...firmato Panda.

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